sabato 13 dicembre 2014

Miti e Leggende: Il Caffè




 Miti e Leggende: Il Caffè 
  


Curiosità:

La scoperta millenaria rende il caffè e le sue origini oggetto di un gran numero di leggende che ne esaltano le qualità. Grazie alle sue capacità inebrianti fin dal principio è stato associato a varie forme di divinità.

Tra le più famose troviamo quella di un monaco che dopo aver visto i suoi animali domestici inebriati da strani frutti, decise di provarne gli effetti con un decotto, scoprendo una maggiore resistenza al sonno e una maggiore concentrazione nelle preghiere.

Altra leggenda vuole Maometto dissetato e rinvigorito per mano dell'Arcangelo Gabriele da Allah. Dopo aver provato la "bevanda scura" il profeta riparti per grandi imprese.

Sembra si possano trovare segni del caffè anche all'interno dei racconti biblici. Nel "Primo libro dei RE" si usa come merce di conciliazione dei "grani abbrustoliti", che creano una bevanda rinvigorente.


1) La Leggenda del pastore Kaldi:





Nello Yemen e in Etiopia si è tramandata una leggenda sulle origini dell’uso umano del caffè che ha per tema l’osservazione da parte di un pastore (in molte versioni di nome Kaldi) dell’agitazione delle sue capre dovuta al fatto che si erano nutrite di foglie e bacche della pianta del caffè. 

Questa leggenda sembra essere stata raccontata per la prima volta in Europa nel 1671 dal frate maronita Antonio Fausto Naironi.


"Versione riassuntiva moderna":


"Migliaia e migliaia di anni fa, certi pastori copti dell’altipiano di Caffa in Etiopia, si accorsero che le loro capre, oltre ad essere più ostinate, caparbie, cocciute del solito, erano anche molto nervose, si adombravano per un nonnulla, partivano a testa bassa contro chiunque si avvicinasse loro. Anche nel branco regnava una grande inquietudine, contrassegnata da un continuo cozzar di corna. 
Ma quello che ai pastori sembrava ancor più grave era il fatto che, giunta la sera, quando ricoveravano le capre nelle stalle, gli animali erano sempre irrequieti e non si riposavano. In piena notte erano ancora tutti svegli.

Non riuscendo a capacitarsi dell’insolito fenomeno, i pastori dell’altipiano etiopico si rivolsero a un monastero ed esposero il fatto a un vecchio e saggio monaco, il quale domandò se per caso i pastori negli ultimi tempi non avessero cambiato pascolo e se le capre non avessero brucato qualche pianta alla quale non erano abituate.

Il monaco ci aveva visto giusto: ispezionando i nuovi pascoli, i pastori si resero conto che le capre brucavano le foglioline e i semi di certi alberelli sconosciuti sui quali agilmente si arrampicavano. 

Portati al convento, i semi furono esaminati, sottoposti a numerosi esperimenti, e quando furono anche abbrustoliti sul fuoco, macinati e versati nell’acqua calda, i monaci si accorsero che l’infuso scuro prodotto da questa lavorazione, li rendeva molto agitati ed eccitati, turbava la loro serenità convenutale e, quando giungeva la notte, i religiosi stentavano a prender sonno."




2) Mito d’origine del caffè fra gli Oromo dell’Etiopia:




In questo mito sull’origine del caffè e del suo uso, proveniente dall’etnia degli Oromo dell’Etiopia orientale, la pianta del caffè viene fatta originare dalle lacrime della divinità suprema, Waqa.

"Un giorno, tanto tempo fa, all’epoca in cui Waqa camminava ancora per la terra, egli chiamò un uomo e gli disse: “Vieni: ti dirò il giorno che morirai”.
Ma l’uomo rispose: “Io non morirò mai. Perché dovrei morire? Voglio restare vivo per sempre come te.”
“Come potresti – disse Waqa – restare vivo e non morire? Vieni, ascolta da me il giorno della tua morte. Ti farò morire dopo che avrai visto i tuoi nipoti fino alla quinta generazione. Vivrai per trecento anni. Però, quando avrai visto cinque generazioni di nipoti, dovrai morire. Come vedi, rimanderò la tua morte per molto tempo.”
Rispose l’uomo: “No, non voglio per nulla morire. Io sono tuo figlio. Voglio rimanere vivo insieme a te.”
Così si oppose a Waqa e si rifiutò di ascoltarlo.
Allora Waqa disse: “Poiché ti rifiuti di accettare la mia decisione, scompari dalla mia vista. Morrai oggi”.
A queste parole l’uomo montò sul suo cavallo e corse via. Correva veloce quanto poteva. Andò dal luogo dove sorge il sole fino a quello dove tramonta.
A sera, verso il tramonto, raggiunse un luogo dove alcune persone avevano scavato una tomba, presso la quale sedevano. Quando videro il cavaliere in arrivo, si dissero: “Guardate, eccolo”.
L’uomo arrestò il suo cavallo. Chiese loro: “Per chi avete scavato questa tomba?”
“Non sappiamo – dissero – ma pensiamo che sia per te. Stamane Waqa è venuto qui e ci ha detto: “Scavate una tomba per qualcuno, per un uomo che si è rifiutato di accettare la mia decisione.” E’ questo ciò che Waqa ci ha detto di fare.”
“Oh Waqa! – esclamò l’uomo – Allora è vero quel che si dice: ‘anche se parti la mattina presto, non puoi sfuggire a Waqa’”.
Smontò da cavallo, e morì subito, ed essi lo seppellirono.
Dopo cinque giorni, Waqa si ricordò di nuovo di quell’uomo. Andò nel luogo in cui viveva quella gente. Gli dissero: “Oh Waqa, è accaduto tutto come hai detto. L’uomo è passato di qui ed è morto immediatamente. L’abbiamo seppellito come ci avevi detto di fare.”


“Portatemi alla tomba”, disse Waqa. Quando Waqa vide l’uomo giacere nella tomba, sgorgarono lacrime dai suoi occhi. Esse caddero sul cadavere di quell’uomo. E, meraviglia: nello stesso istante una pianta di caffè germogliò nel punto in cui erano cadute le lacrime.


E’ così che il caffè precede tutte le altre cose. E’ così che viene preparato per primo in tutti i rituali. Il caffè è la nostra grande medicina. Fu benedetto da Waqa fra tutti gli alberi, benedetto dalle sue lacrime.


Tutte le piante crescono per la pioggia, ma la pianta del caffè è germogliata dalle lacrime di Waqa."



 
Da: L. BARTELS, 1983, rip. in G. Mazzoleni, 1988, Miti e leggende dell’Africa nera, Newton Compton, Roma, pp. 112-3.


(http://samorini.it/site/mitologia/caffe/mito-origine-oromo-etiopia/)


 

Nello Yemen e in Etiopia si è tramandata una leggenda sulle origini dell’uso umano del caffè che ha per tema l’osservazione da parte di un pastore – in molte versioni di nome Kaldi – dell’agitazione delle sue capre dovuta al fatto che si erano nutrite di foglie e bacche della pianta del caffè. Questa leggenda sembra essere stata raccontata per la prima volta in Europa nel 1671 dal frate maronita Antonio Fausto Naironi. Di seguito una versione riassuntiva moderna:
Migliaia e migliaia di anni fa, certi pastori copti dell’altipiano di Caffa in Etiopia, si accorsero che le loro capre, oltre ad essere più ostinate, caparbie, cocciute del solito, erano anche molto nervose, si adombravano per un nonnulla, partivano a testa bassa contro chiunque si avvicinasse loro. Anche nel branco regnava una grande inquietudine, contrassegnata da un continuo cozzar di corna. Ma quello che ai pastori sembrava ancor più grave era il fatto che, giunta la sera, quando ricoveravano le capre nelle stalle, gli animali erano sempre irrequieti e non si riposavano. In piena notte erano ancora tutti svegli.
Non riuscendo a capacitarsi dell’insolito fenomeno, i pastori dell’altipiano etiopico si rivolsero a un monastero ed esposero il fatto a un vecchio e saggio monaco, il quale domandò se per caso i pastori negli ultimi tempi non avessero cambiato pascolo e se le capre non avessero brucato qualche pianta alla quale non erano abituate.
Il monaco ci aveva visto giusto. Ispezionando i nuovi pascoli, i pastori si resero conto che le capre brucavano le foglioline e i semi di certi alberelli sconosciuti sui quali agilmente si arrampicavano e che erano quelle foglie e sopratutto quei semi, che provocavano tanta agitazione nelle bestie che se ne nutrivano. Portati al convento, i semi furono esaminati, sottoposti a numerosi esperimenti, e quando furono anche abbrustoliti sul fuoco, macinati e versati nell’acqua calda, i monaci si accorsero che l’infuso scuro prodotto da questa lavorazione, li rendeva molto agitati ed eccitati, turbava la loro serenità convenutale e, quando giungeva la notte, i religiosi stentavano a prender sonno.1
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Migliaia e migliaia di anni fa, certi pastori copti dell’altipiano di Caffa in Etiopia, si accorsero che le loro capre, oltre ad essere più ostinate, caparbie, cocciute del solito, erano anche molto nervose, si adombravano per un nonnulla, partivano a testa bassa contro chiunque si avvicinasse loro. Anche nel branco regnava una grande inquietudine, contrassegnata da un continuo cozzar di corna. Ma quello che ai pastori sembrava ancor più grave era il fatto che, giunta la sera, quando ricoveravano le capre nelle stalle, gli animali erano sempre irrequieti e non si riposavano. In piena notte erano ancora tutti svegli.
Non riuscendo a capacitarsi dell’insolito fenomeno, i pastori dell’altipiano etiopico si rivolsero a un monastero ed esposero il fatto a un vecchio e saggio monaco, il quale domandò se per caso i pastori negli ultimi tempi non avessero cambiato pascolo e se le capre non avessero brucato qualche pianta alla quale non erano abituate.
Il monaco ci aveva visto giusto. Ispezionando i nuovi pascoli, i pastori si resero conto che le capre brucavano le foglioline e i semi di certi alberelli sconosciuti sui quali agilmente si arrampicavano e che erano quelle foglie e sopratutto quei semi, che provocavano tanta agitazione nelle bestie che se ne nutrivano. Portati al convento, i semi furono esaminati, sottoposti a numerosi esperimenti, e quando furono anche abbrustoliti sul fuoco, macinati e versati nell’acqua calda, i monaci si accorsero che l’infuso scuro prodotto da questa lavorazione, li rendeva molto agitati ed eccitati, turbava la loro serenità convenutale e, quando giungeva la notte, i religiosi stentavano a prender sonno.1
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Migliaia e migliaia di anni fa, certi pastori copti dell’altipiano di Caffa in Etiopia, si accorsero che le loro capre, oltre ad essere più ostinate, caparbie, cocciute del solito, erano anche molto nervose, si adombravano per un nonnulla, partivano a testa bassa contro chiunque si avvicinasse loro. Anche nel branco regnava una grande inquietudine, contrassegnata da un continuo cozzar di corna. Ma quello che ai pastori sembrava ancor più grave era il fatto che, giunta la sera, quando ricoveravano le capre nelle stalle, gli animali erano sempre irrequieti e non si riposavano. In piena notte erano ancora tutti svegli.
Non riuscendo a capacitarsi dell’insolito fenomeno, i pastori dell’altipiano etiopico si rivolsero a un monastero ed esposero il fatto a un vecchio e saggio monaco, il quale domandò se per caso i pastori negli ultimi tempi non avessero cambiato pascolo e se le capre non avessero brucato qualche pianta alla quale non erano abituate.
Il monaco ci aveva visto giusto. Ispezionando i nuovi pascoli, i pastori si resero conto che le capre brucavano le foglioline e i semi di certi alberelli sconosciuti sui quali agilmente si arrampicavano e che erano quelle foglie e sopratutto quei semi, che provocavano tanta agitazione nelle bestie che se ne nutrivano. Portati al convento, i semi furono esaminati, sottoposti a numerosi esperimenti, e quando furono anche abbrustoliti sul fuoco, macinati e versati nell’acqua calda, i monaci si accorsero che l’infuso scuro prodotto da questa lavorazione, li rendeva molto agitati ed eccitati, turbava la loro serenità convenutale e, quando giungeva la notte, i religiosi stentavano a prender sonno.1
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